RIMBORSO IVA: ECCO I “PALETTI” DELLA CASSAZIONE
L’onere in capo al contribuente di dimostrare la fondatezza del rimborso negato dall’ufficio non è soddisfatto con la mera esposizione della richiesta nella dichiarazione Iva
La giurisprudenza della Cassazione è
consolidata nell’affermare che la posizione dell'ufficio finanziario in sede di
pretesa fiscale poi impugnata dal contribuente (il quale, difatti, è titolare
di interessi oppositivi) risulta differente rispetto a quell’altra ove è
l’Amministrazione finanziaria a contrastare l'impugnazione del rigetto –
implicitamente o esplicitamente manifestato – di una istanza di rimborso
presentata dal contribuente (il quale, difatti, è titolare di interessi
pretensivi).
In tal senso, la sentenza del Supremo collegio n. 20693/2014 cita il proprio
precedente espresso nella decisione di legittimità 18 aprile 2014, n. 8998, per
la quale “il rimborso di imposta da origine ad un rapporto giuridico nel
quale - con una netta inversione dei ruoli rispetto allo schema paradigmatico
del rapporto tributario - è il contribuente a rivestire il ruolo attivo,
assumendo nei confronti dell'Erario la posizione di creditore di una
determinata somma di denaro, per il fatto di avergliela in precedenza versata”.
Infatti, viene confermato dalla decisione in rassegna che, nelle ipotesi in cui
il credito nasca per effetto di un pagamento non dovuto, il divieto di
arricchirsi indebitamente in danno di altri (il quale costituisce un principio
generale dell'ordinamento, compreso quello tributario, e pure a prescindere
dall’esistenza in esso di una norma specifica come quella dell'articolo 2033
del codice di diritto comune) determina in capo all'ufficio finanziario un
obbligo di restituzione a favore del richiedente.
L’aspetto processuale di tale corretto inquadramento offerto della Suprema
corte sulla diversità tra i giudizi vertenti sulla fondatezza o legittimità di
un avviso di accertamento, di liquidazione o d'irrogazione di sanzione
amministrativa dell'ufficio finanziario rispetto a quelli riguardanti la
richiesta del contribuente – non accolta – di rimborso, è che, riguardo al
primo ambito, l’oggetto proprio delle controversie è “delimitato in via
assoluta dall'atto impugnato” (come si esprime la pronuncia della Suprema
corte in rassegna).
Nelle ipotesi di richiesta di rimborso, invece, l’atto col quale
l’Amministrazione finanziaria comunica al contribuente il diniego al rimborso
dell’eccedenza Iva – non contenendo alcuna nuova pretesa impositiva – non ha
natura di atto di accertamento, come ben evidenziato dalla Corte di legittimità
– nella sentenza citata da questa in commento – 10 gennaio 2004, n. 194, in
tema di individuazione dei relativi termini decadenziali.
Gli effetti probatori desumibili da tale ricostruzione degli assetti
sostanziali è che l’ufficio finanziario non è gravato dall'onere di motivare e
provare compiutamente le proprie ragioni, essendosi ritenuto sufficiente e
adeguata una motivazione del diniego di rimborso che delinei gli aspetti essenziali
delle ragioni del provvedimento, rinvenibile anche nella solo affermazione
dell'insussistenza dei presupposti di legge per operare il rimborso richiesto.
In questi termini, si veda quanto già rilevato dalla sentenza della Cassazione,
citata da questa in rassegna, 5 maggio 2010, n. 10797, per la quale
l'Amministrazione finanziaria può esercitare la facoltà di controdeduzione di
cui all'articolo 23 del Dlgs 31 dicembre 1992, n. 546 e, quindi, prospettare,
senza che si determini vizio di ultrapetizione, argomentazioni giuridiche
ulteriori rispetto a quelle che hanno formato la motivazione di rigetto della
istanza in sede amministrativa. Infatti, ove la controversia abbia a oggetto
l'impugnazione del rigetto di un'istanza di rimborso di un tributo avanzata dal
contribuente in quanto quest’ultimo è attore in senso formale sostanziale,
mentre l'Amministrazione finanziaria è convenuto in senso vuoi formale, vuoi
sostanziale, legittimata – per la citata sentenza del 2010 in tema di tassa per
lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani – a richiamare, nel provvedimento di
rigetto della domanda di rimborso, le delibere comunali adottate in materia.
La questione oggetto dell’intervento della Corte regolatrice del diritto
concerne la legittimità della negazione del rimborso Iva chiesto dalla società
giustificata dalla decisione del giudice di appello per mancata motivazione
dell’atto esplicito di diniego del rimborso individuata nel mancato svolgimento
di attività di impresa da parte della cooperativa, seppure era stato constatato
l’effettuazione di una sola operazione imponibile in un solo periodo d’imposta
su tredici (per un milione di lire) e un altro con cessioni di beni
ammortizzabili (per 500mila lire).
Ne consegue, per la decisione in commento, che l'onere probatorio incombente
sul contribuente “non può - di certo -
essere adempiuto con la mera esposizione della propria pretesa restitutoria
nella dichiarazione presentata in relazione all'IVA, come è accaduto nel caso
concreto, giacché il credito fiscale non nasce da questa, bensì dal meccanismo
fisiologico di applicazione del tributo previsto dalla legge”, come già
affermato dal Supremo collegio nella sentenza, citata da questa in nota, 26
ottobre 2012, n. 18427.
Nella citata sentenza di legittimità 18 aprile 2014, n. 8998, si era statuito
che, non avendo natura impositiva, il provvedimento dell'Amministrazione
finanziaria che nega il rimborso dell'Iva in assenza del presupposto di cui
all'articolo 30, comma 3, lettera c), del Dpr n. 633/1972 non deve indicare le ragioni
di fatto e di diritto che hanno determinato la decisione dell'Amministrazione.
Dott.ssa Anna Caralla