INAMMISSIBILE IN APPELLO LA PRODUZIONE DEI DOCUMENTI GIA’ DISPONIBILI IN PRIMO GRADO
Solo pochi giorni fa la Commissione tributaria regionale di Potenza, con la sentenza n. 255/2/16, ha affrontato in maniera a dir poco “eccellente” il dilemma relativo all’esatta interpretazione dell’art. 58, comma 2, del D. Lgs. n. 546/92, vale a dire, della disposizione che disciplina la produzione dei documenti nella fase d’appello del rito tributario.
La vicenda giunta al vaglio del giudice d’appello lucano, riguardava l’impugnazione di un avviso di accertamento notificato ad un professionista esercente l’attività di geometra, mediante il quale gli si contestava un maggio reddito professionale con conseguente richiesta di maggiori imposte non versate.
Il contribuente, nel sollevare ricorso, eccepiva, fra gli altri motivi, la nullità dell’atto per violazione dell’art. 42 del D.p.r. n. 600/73, non avendo, l’ufficio, allegato all’atto impositivo il provvedimento dal quale potesse evincersi che il soggetto firmatario dell’atto fosse stato effettivamente delegato dal proprio superiore alla sottoscrizione, in ossequio a quanto previsto dalla legge.
L’agenzia delle entrate, a fronte della contestazione, esibiva il provvedimento, la cui esistenza era oggetto di doglianza, solo in occasione dell’udienza di discussione.
Alla luce di un tale comportamento, la Commissione provinciale di Potenza accoglieva il ricorso sul presupposto della tardività dell’esibizione della delega, condannando oltretutto l’amministrazione finanziaria alla refusione delle spese di lite liquidate in € 1.500.
Avverso tale decisione ricorreva in appello l’ufficio, il quale, in maniera del tutto ambigua, provvedeva al deposito della delega non ammessa in primo grado, avendo cura di precisare come: “..A siffatta produzione documentale non osta alcuna preclusione processuale, atteso il disposto dell’art. 58 del D. Lgs. n. 546/92, ai sensi del quale per la produzione delle prove documentali non opera il principio della novità”.
Una tale tesi, però, non ha convinto i Giudici del gravame lucani, i quali, nel rigettare l’appello, hanno sdoganato un importante principio di diritto (in netta controtendenza con l’orientamento maggioritario), secondo cui: “Il secondo comma del citato articolo 58 non è volto a sanare comportamenti omissivi delle parti ma solo a garantire la correttezza del procedimento cosicché non è possibile ammettere il deposito di documenti, tra l’altro come nel caso tardivamente depositati in primo grado, in quanto gli stessi non possiedono il requisito della novità ed erano nella disponibilità della parte, trattandosi di delega di firma, già prima della notifica dell’atto accertativo..(..)..Ragionare diversamente e riconoscere comunque l’ammissibilità in grado di appello di qualsivoglia documento, non esibito ovvero tardivamente esibito in primo grado, significherebbe attuare una incomprensibile compressione del diritto di difesa nel momento in cui quel documento avrebbe consentito la proposizione di motivi aggiunti nel procedimento di primo grado. Il contribuente verrebbe privato di un grado di giudizio non essendo possibile in appello, dalla parte resistente, introdurre motivi nuovi rispetto a quelli proposti con il ricorso introduttivo del giudizio.”.
A parere della Corte lucana, quindi, la previsione dell’art. 58, comma 2, D. Lgs. n. 546/92, deve ritenersi applicabile esclusivamente a quei documenti di cui la parte non era in possesso in primo grado, o, comunque, a quei documenti che non integrano, in alcun modo, un elemento di prova nuovo rispetto a quelli già forniti, ma che, al contrario, rappresentano una mera integrazione di tutte le prove già offerte nella prima fase del giudizio.
Dott. Daniele Brancale
Tributarista - Difensore Tributario
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