ESCLUSIONE DELL’EQUO INDENNIZZO (LEGGE PINTO) NEL PROCESSO TRIBUTARIO
La disciplina del "giusto risarcimento", per mancato
rispetto del termine ragionevole, non è applicabile ai giudizi in materia
fiscale involgenti la potestà impositiva dello Stato.
La Corte di cassazione, con la sentenza 4282 del 3
marzo 2015, ha escluso dalla disciplina dell'equo indennizzo, per violazione
del termine ragionevole processuale, le controversie in materia tributaria
nelle quali l'esistenza del diritto al rimborso di un tributo già corrisposto
dipenda dall'accertamento della fondatezza o meno della correlata pretesa
impositiva ovvero riguardi un rapporto obbligatorio interamente regolato da
norme di diritto pubblico, che sottraggono la causa alla materia civile di cui all'articolo
6, paragrafo 1, Convenzione europea dei diritti dell'uomo (Cedu).
Il Collegio è stato chiamato a risolvere un particolare caso sollevato da un
contribuente che chiedeva la corresponsione dell'equo indennizzo per
l'eccessiva durata di un processo tributario, ai sensi dell'articolo 5-ter
della legge 89/2001.
Nel processo veniva chiesta, alla Commissione tributaria, la condanna
dell'Amministrazione finanziaria al pagamento del rimborso delle ritenute
fiscali operate sull'indennità della buonuscita.
La Corte d'appello, competente a rispondere alla domanda di indennizzo, aveva
rigettato la richiesta per manifesta infondatezza dell'opposizione, improntata
non sull'allegazione di un mero errore di calcolo ma sulla correttezza della
pretesa impositiva.
Il contribuente proponeva ricorso per cassazione, evidenziando come la
sua richiesta non riguardava la pretesa impositiva dell'Amministrazione
finanziaria, ma il rimborso delle ritenute fiscali, da questa indebitamente
operate: ciò avrebbe palesato la natura privatistica della richiesta, non
essendo pacifica l'applicabilità delle disposizioni della legge 89/2001 alle
controversie relative al rimborso delle somme versate dal contribuente al
Fisco.
L'equa riparazione per mancato rispetto del termine ragionevole trova la sua
disciplina nell'articolo 6, comma 1, della Cedu, il quale stabilisce che "ogni
persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed
entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale,
costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie
sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa
penale formulata nei suoi confronti".
In accoglimento della normativa contenuta nella Convenzione europea dei diritti
dell'uomo è stata introdotta nel nostro ordinamento la legge 89/2001.
La giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr pronunce
15604/2006, 8035/2006, 21651/2005, 21404/2005, 17139/2004 e 11350/2004) ha, in
più riprese, chiarito che non trova applicazione il principio dell'equa
riparazione nei giudizi in materia tributaria involgenti la potestà impositiva
dello Stato, essendo del tutto estranei al quadro normativo delle liti in
materia civile.
Inoltre, la Convenzione individua due aree di tutela, quella civile e quella
penale, dunque l'attività impositiva dello Stato membro non pregiudica la
protezione del diritto di proprietà.
La Corte suprema prosegue affermando che "l'equa riparazione prevista
dalla legge nazionale per la violazione dell'art. 6, paragrafo 1 CEDU non è
riferibile ai casi di durata irragionevole di controversie che involgano
l'esistenza e l'esercizio della potestà impositiva dello Stato".
Pertanto, la norma prevista dall'articolo 6 della Cedu è applicabile alla
natura pecuniaria delle obbligazioni aventi carattere civilistico, al quale si
contrappongono quelle di natura pubblicistica dalle quali derivano le
obbligazioni tributarie.
Infatti, l'obbligazione tributaria, pur avendo matrice comune con quella
civilistica, è funzionale al raggiungimento di obiettivi di natura
pubblicistica, è richiesta, pertanto, una rigorosa e tassativa disciplina delle
modalità di attuazione del rapporto obbligatorio d'imposta; da ciò ne consegue
che la finalità pubblicistica dell'obbligazione tributaria impone un giudizio
di preventiva compatibilità di istituti propri dell'autonomia privata.
Occorre evidenziare, quindi, che il contenzioso tributario non rientra
nell'ambito dei diritti e delle obbligazioni aventi carattere civile,
nonostante gli effetti patrimoniali prodotti nella sfera giuridica dei
contribuenti.
Un discorso a parte meritano le sanzioni tributarie.
La giurisprudenza della Corte di cassazione ha messo sullo stesso piano le
sanzioni penali e quelle tributarie, considerandole alternative alle prime.
Sempre dalla Corte di legittimità, le stesse sanzioni tributarie vengono
equiparate anche alle sanzioni civili, perché riguardanti le pretese nei
confronti dei contribuenti che non investono il tributo, in quanto sono a esso
consequenziali.
Tra le richieste di rimborso di natura privatistica non rientrano le
controversie sulla restituzione delle imposte, anche se, nel caso concreto,
sono ritenute dal contribuente indebitamente trattenute, perché "il relativo
diritto non è accertato secondo i principi di diritto civile sulla ripetizione
di indebito, ma in base all'esistenza o meno del potere impositivo" (cfr
Cassazione, pronunce 2371/2011, 13657/2007 e 21403/2005).
In conclusione, la Corte ha cassato la richiesta del contribuente perché l'oggetto
del contendere era riferito alla fondatezza o meno della pretesa impositiva
dell'Amministrazione finanziaria.
Il rapporto obbligatorio tra il Fisco e il contribuente è normato da regole di
diritto pubblico, non ricompreso nell'articolo 6 della Convenzione europea dei
diritti dell'uomo.
Dott.ssa Anna Caralla