DIRIGENTI ILLEGITTIMI: I POSSIBILI EFFETTI DELLA SENTENZA N. 37/2015 PRONUNCIATA DALLA CORTE COSTITUZIONALE

La sentenza della Corte Costituzionale n. 37/2015, depositata lo scorso 17 marzo, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità dell'attribuzione degli incarichi dirigenziali nell'Agenzia delle entrate, potrebbe avere un effetto dirompente significando la nullità degli atti firmati da tali dirigenti la cui nomina deve ritenersi priva di
efficacia con effetto retroattivo.

Il ragionamento logico-giuridico che dobbiamo intraprendere parte, necessariamente, dall'art. 21-septies della legge n. 241/1990 che prevede la nullità dei provvedimenti amministrativi mancanti degli elementi essenziali, viziati da difetto assoluto di attribuzione od negli altri casi espressamente previsti dalla legge.

Orbene se l'atto risulta privo di sottoscrizione da parte di un dirigente "legittimo" lo stesso non potrà essere validamente attribuito all'Agenzia delle entrate. Infatti, ai sensi dell'art. 42, comma 3, del DPR n. 600/1973 gli atti di accertamento che non recano la sottoscrizione del capo dell'ufficio o di altro impiegato della
carriere direttiva da lui validamente delegato sono irrimediabilmente nulli.

La Corte Costituzionale, con la sentenza in commento, ha ben distinto tre ipotesi di illegittimità degli atti di accertamento: 1) quando sottoscritti da direttori provinciali "dirigenti illegittimi"; 2) quando sottoscritti da capo ufficio-funzionario su delega di direttori provinciali "dirigenti illegittimi"; 3) quando sottoscritti da capo ufficio funzionario "illegittimo" su delega di direttori provinciali legittimi.

In tutti questi casi, dunque, l'atto di accertamento deve ritenersi nullo e non attribuibile all'Agenzia delle entrate. A questo punto si aprono due possibili scenari nell'ottica del professionista che opera nel campo del contenzioso tributario.

Nei prossimi mesi, infatti, è presumibile che fioccheranno tutta una serie di ricorsi diretti ad ottenere l'annullamento degli atti di accertamento sulla base delle motivazioni esposte testé.

Ciò che è difficile prevedere, al contrario, è l'orientamento che sposeranno i giudici tributari potendo orientarsi, da un lato, per la tesi della nullità (fondata sulle motivazioni di cui sopra e, tra l'altro, anche su una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, la n. 18758/2014 - assolutamente esaustiva sul tema), oppure, dall'altro, sulla tesi della conservazione degli effetti dell'atto firmato dal dirigente illegittimo (che
è quella portata avanti dall'Agenzia delle entrate e, pare, anche dal Ministero dell'Economia e delle Finanze).

E' evidente che il prevalere dell'una o dell'altra tesi può condurre a risultati completamente diversi.

Tuttavia, per coloro i quali decideranno di adire in maniera massiva il Giudice tributario al fine di far prevalere il primo dei due orientamenti, esiste un punto di partenza favorevole. Infatti, per effetto della norma di cui all'art. 1393 del codice civile, è sempre onere dell'amministrazione finanziaria provare in giudizio il corretto esercizio del potere di delega (sul punto, vedasi Corte di Cassazione, sentenza n. 14942/2013).

In ogni caso, per evitare spiacevoli sorprese, è sempre preferibile sollecitare, nell'atto di ricorso, l'esercizio dei poteri istruttori da parte delle commissioni tributarie di cui all'art. 7 del D. Lgs. n. 546/1992, sì da acquisire in giudizio la documentazione dalla quale si evinca il procedimento di nomina del dirigente firmatario e/o di delega della funzione.

Per vederci chiaro.

Avv. Giuseppe Mecca

dott.mecca.giuseppe@gmail.com